SS. Quattro Coronati
La chiesa
Entrata
Pianta
La chiesa
Importantissimo complesso monastico del Medioevo, la chiesa dei SS. Quattro domina con la sua mole la zona del Celio, e spiccava ancor più alla fine dell’Ottocento, quando chiesa e monastero si trovavano isolati tra orti, vigne e ruderi romani, dando maggiormente l’idea di un complesso fortificato nella campagna romana. Il nome deriva dai quattro scalpellini che furono martirizzati sotto Diocleziano per essersi rifiutati di scolpire un idolo pagano, e che nel Medioevo divennero i patroni delle corporazioni edili. La chiesa sorge sull’area di una domus antica fornita di una grande aula absidata che tra IV e V secolo fu trasformata in chiesa; il sovrapporsi di una grande quantità di murature di diverse epoche è visibile da via Capo d’Africa, dove domina l’abside della chiesa e la mole del convento adiacente. La chiesa è menzionata con il suo nome attuale per la prima volta nel 595, e intorno all’anno 800 fu ricostruita sotto forma di una grandiosa basilica a tre navate, basilica che fu semidistrutta dal Sacco dei Normanni nel 1084, che infierì particolarmente proprio sulla zona del Celo. Pasquale II la ricostruì nel 1110 riducendola di dimensioni, tanto da ricavarne tre navate nello spazio dell’antica navata centrale. Il complesso, passato ai Benedettini, e poi alle suore Agostiniane che tuttora lo gestiscono, subì numerosi interventi, soprattutto intorno al 1630, quando la chiesa fu affrescata e arredata nuovamente. Nel 1912-1914 Antonio Munoz restaurò l’intero complesso rimettendo in luce tutti gli originati aspetti medievali. Dopo aver girato attorno al complesso, si giunge all’ingresso del monastero, che presenta una facciata disadorna su di una piccola piazza, facciata da cui si eleva il tozzo campanile del IX secolo, il più antico che si conservi in Roma, passando sotto il quale si accede al primo cortile che forse corrisponde al quadriportico che precedeva la chiesa del IX secolo; le murature del convento presentano qua e là tracce dell’epoca medievale. Si passa poi nel secondo cortile, che occupa l’inizio della navata centrale della basilica carolingia, il che è visibile dalle colonne che reggono arcate rimesse in luce nelle murature perimetrali, e che un tempo separavano la navata centrale da quelle laterali. Sul fondo il portico di ingresso alla chiesa, dell’epoca di Pasquale II. L’interno della chiesa, a tre navate, mostra analogamente lungo il perimetro esterno le colonne dell’antica basilica; le colonne della chiesa attuale sono di granito, con capitelli di spoglio, e vi si trovano gli ultimi matronei costruiti in Roma. Il pavimento è del XII secolo, in opus alexandrinum. L’abside è ancora quella del IX secolo, e lo si capisce osservando le sue dimensioni spropositate rispetto alla navata. Nelle navate laterali sono conservati resti di affreschi del XII secolo, nella sinistra, l’altare di S. Sebastiano, dove si conserva la reliquia del suo capo. Il presbiterio è rialzato per la presenza della cripta semianulare, del IX secolo. Nell’abside, affreschi di Giovanni da S. Giovanni (1630); al termine del colonnato sinistro, un ciborio qui esposto, della fine del Quattrocento, attribuito ad Andrea Bregno. Dalla navata sinistra si può accedere al chiostro, risalente al XIII secolo, e che sebbene sia assai spoglio dal punto di vista decorativo, è certo uno dei più suggestivi di Roma. Al centro è una fontana per abluzioni del XII secolo, che in origine probabilmente era nel secondo cortile. Dal chiostro si può accedere alla cappella di S. Barbara, sopravvivenza della chiesa carolingia, realizzata da papa Leone IV (847-855), singolare per la pianta quadrata e triabsidata. con mensole trabeate che sorreggono la volta a crociera e resti di affreschi del IX e del XII secolo. Ritornando nel secondo cortile si accede alla stanza del Calendario, ricavata nella navata destra della basilica primitiva, ora portinena del convento delle monache, che conserva dipinto sulle pareti un raro esemplare di calendario liturgico della seconda metà del XIII secolo. Da questa stanza, chiedendo la chiave alle monache (che, essendo di clausura, la forniscono ancora con l’antico sistema della ruota girevole), si può accedere alla cappella di S. Silvestro, uno dei più importanti monumenti storico-artistici del Medioevo romano. Fu costruita nel 1246, poco dopo che il pontefice e la curia cardinalizia si erano rifugiati nel monastero fortificato sotto la minaccia di un attacco portato dall’imperatore Federico II di Svevia, nel momento più caldo della lotta tra papato e Impero, cosicché l’ambiente fu interamente decorato con un ciclo di affreschi rammemoranti episodi della vita di Costantino imperatore e del santo papa Silvestro, a sancire la versione tradizionale del potere temporale dei pontefici, avuto per la rinuncia da parte di Costantino, convertito al cristianesimo e grato per la guarigione miracolosa dalla lebbra, alla metà occidentale dell’Impero, essendosi egli trasferito a Costantinopoli. Se l’insieme degli affreschi non è di elevatissima qualità artistica, risulta comunque di estremo interesse per la forza della concezione storica espressa, e comunque è di forte suggestione per la notevole conservazione dell’ambiente nel suo insieme. Il pavimento è di stile cosmateseo, mentre la volta, a botte, è dipinta a stelle, con al centro una croce formata da terrecotte policrome di matrice islamica. Uscendo dal convento, si può proseguire per la appartata via dei SS. Quattro; sull’area rettangolare tra questa e, più in basso, lo stradone di S. Giovanni, a metà dell’Ottocento si trovava la villa Campana, dal nome del proprietario, marchese Campana, direttore del Monte di Pietà, che negli anni vi accumulò una prodigiosa collezione archeologica e anche di primitivi italiani, dopo di ché, scopertosi che a questo scopo aveva utilizzato fondi del Monte, fu arrestato e processato e la sua collezione finì all’asta, per essere quasi tutta acquistata da Napoleone III. Oggi per la maggior parte si trova al Louvre.