SS. Cosma e Damiano
La chiesa
Cortile
Soffitto
La chiesa
Altra chiesa di antica origine la cui storia si confonde con quella di diversi edifici pertinenti al foro romano e ai fori imperiali, un tempo affacciatesi sulla via sacra, nel foro romano appunto, e che ora, in seguito agli scavi archeologici e all'apertura di via dei fori imperiali, è accessibile da quest'ultima. Il blocco della chiesa e del convento appare subito evidente come sia inserito in poderose murature di età romana, che in origine erano parte del Forum Pacis o Foro di Vespasiano, eretto dopo la fine della guerra giudaica e delle guerre civili susseguenti alla morte di Nerone. L'ambiente su cui insiste la chiesa era adibito a biblioteca, ricostruito dopo un incendio da Settimio Severo e in parte trasformato in aula delle udienze del Praefectus Urbis. Sulla parete esterna era esposta la Forma Urbis Romae, pianta marmorea della città della quale, a partire dal XVI secolo, sono stati ritrovati numerosi frammenti e che a tutt'oggi rimane fonte insostituibile per la conoscenza della topografia di Roma antica. All'edificio fu aggregato, lungo la via sacra, il cosiddetto tempio di Romolo (figlio di Massenzio), in cui oggi si tende a vedere invece il tempio dei Penati, iniziato da Massenzio e completato da Costantino, edificio a pianta circolare, con cupola e facciata concava, con nicchie, che conserva ancora, inquadrato da belle colonne di porfido, il portale bronzeo originario, il quale possiede una serratura a tutt'oggi incredibilmente funzionante. L'intero complesso fu ceduto da Amalasunta, figlia di Teodorico, nel 526 al pontefice Felice IV, per erigervi una chiesa, che venne realizzata trasformando l'antica aula delle udienze del Praefectus Urbis, e si trattò, a due secoli dall'editto di Costantino, del primo edificio di culto cristiamo sorto nel centro monumentale della città, poichè in precedenza probabilmente era risultata insormontabile l'ostilità dell'ancor potente aristocrazia senatoria pagana. La chiesa fu arricchita nei mosaici e negli arredi sotto Sergio I (687-701) e mantenne il suo aspetto fino al pontificato di Urbano VIII Barberini, che a partire dal 1632 fece eseguire grandi lavori di sistemazione dall'architetto Luigi Arrigucci, innalzando di molto il pavimento e quindi creando una chiesa inferiore. L'Arrigucci costruì anche l'attuale convento, tutt'ora occupato dal terz'ordine Francescano. Da via dei Fori Imperiali si entra nel convento, dove subito a sinistra è visibile una parete a blocchi pertinente alla Biblioteca Pacis. Si passa nel sobrio chiostro secentesco e a sinistra si entra nella chiesa. L'interno, a navata unica, suggerisce la maestosità dell'antica aula romana sebbene i rapporti proporzionali siano molto alterati dal forte innalzamento del pavimento. Il ricco soffitto ligneo reca lo stemma di Urbano VIII. L'altare maggiore, eseguito da Domenico Castelli nel 1637 riutilizzando per baldacchino le colonne marmoree di quello antico, conserva una Madonna col bambino bizantineggiante del XIII secolo, a destra dell'altare un candelabro cosmatesco del XIII secolo anch'esso. Il catino absidale conserva lo splendido, maestoso mosaico dell'epoca di Felice IV, raffigurante il Cristo che scende sulla terra nel momento del secondo avvento apocalittico, della cosiddetta "Parusia". Su di un tappeto di nuvole rosa e celesti, avendo a destra e a sinistra i SS. Pietro e Paolo che presentano rispettivamente i SS. Cosma e Damiano accompagnati da S Teodoro e dal pontefice Felice IV col modello della chiesa. Questo mosaico è considerato un testo figurativo fondamentale in quanto è ancora impregnato dello stile monumentale e aulico dell'arte imperiale tardoromana, il che può riscontrarsi nelle figure solide e voluminose dei santi, o nel carattere quasi di ritratto di S. Cosma sulla destra, come nella presenza di un superbo fondo di colore blu cobalto,al contrario dell'astrazione figurativa e dell'ultraterreno fondo oro dei mosaici bizantini di poco successivi. Cosma e Damiano, medici militari martirizzati, saranno oggetto di una particolare devozione nel mondo bizantino, invocati per la guarigione delle malattie. Il mosaico subì cospicui rifacimenti in occasione dei restauri secenteschi che ne ritagliarono i margini, e la figura del papa Felice è del tutto rifatta. Inoltre l'innalzamento di quota del pavimento, come gia detto, ha dato al mosaico un aspetto incombente che in precedenza non aveva. L'accennata differenza con i mosaici successivi è riscontrabile paragonando quello dell'abside con quello dell'arcone absidale, pertinente agli interventi di Sergio I, dove i simboli apocalittici sono immersi nel fondo oro e presentano un carattere di astrazione simbolica molto evidente. Nella sagrestia sono conservati un piccolo ciborio cosmatesco del XIII secolo, un reliquario argenteo dell'XI e un calice altomedievale. Nella prima cappella a sinistra, dedicata a S. Barbara, ricca decorazione a stucchi. Dalla porta nella facciata si accedeva un tempo al vano superiore del cosiddetto tempio di Romolo, dove è conservato un grandioso presepio napoletano del XVII secolo, donato nel 1939. Nella chiesa inferiore (normalmente non visitabile), un tempo parte della chiesa del VI secolo, alcuni resti delle decorazioni e arredi originali, nel vano inferiore del tempio di Romolo, che fino alla fine dell'ottocento costituiva l'ingresso principale alla chiesa, sono conservati alcuni affreschi molto deperiti che vengono fatti risalire al pontificato di Urbano IV (1261-1264), di stile "popolaresco", che costituiscono un momento intermedio tra la grande pittura di stile bizantino e le nuove tendenze di fine secolo rappresentate da Cavallini e Torriti. Sulla muratura esterna sono ancora visibili i buchi delle grappe che sorreggevano le lastre marmoree della Forma Urbis.