S. Sabina
La chiesa
Abside dall'esterno
Cappella laterale sinistra - cupola
La chiesa
Questa basilica dell’Aventino è forse fin troppo conosciuta, prevalentemente come chiesa «da matrimoni», col rischio di vanificare la conoscenza delle sue pur ricche vicende passate, così come dei notevolissimi valori d’arte superstiti. Tra Otto e Novecento numerosi saggi di scavo hanno messo in luce le fasi più antiche della storia del sito, dove, oltre a tratti delle mura Serviane, che recingevano il colle al suo margine verso il Tevere, furono costruite una serie di abitazioni patrizie che si sovrapposero tra il II secolo a.C. e il IV d.C., quando per ultima sorse una domus di grande ricchezza, una sala della quale è immediatamente sottostante alla chiesa e analoga a essa per dimensioni; la chiesa fu eretta intorno al 425, sotto il pontificato di Celestino I (422-432), a opera soprattutto di Pietro d’Illiria, completata poi sotto Sisto III (432-440). Durante il Medioevo ebbe numerosi restauri e abbellimenti, per venire poi inglobata nelle fortificazioni costruite dal partito imperiale sull’Aventino, passate poi ai Savelli, tracce delle quali sono ancora visibili nel complesso edilizio; fu in S. Sabina che papa Onorio III accolse nel 1222 la Regola presentatagli da S. Domenico, e da allora la chiesa è officiata dai Domenicani.Consistenti modifiche si ebbero quando, nel 1586, Domenico Fontana avviò il restauro della chiesa su incarico di Sisto V, comportando la demolizione e dispersione di quasi tutti gli arredi e decorazioni medievali. Ulteriori modifiche si ebbero nel Sei e Settecento, fino a che, tra il 1914 e il 1936, Antonio Munoz effettuò il restauro, in due tempi, della chiesa, talvolta peraltro in modi discutibili. Attualmente la chiesa prospetta su un fianco lungo la piazza Pietro d Illiria, aperta nel 1614 nelle fortificazioni dei Savelli, e a essa si appoggia un portico quattrocentesco, con capitelli di recupero del V secolo. Sulla sinistra un portico costruito nel 1936, come il vicino convento, che dà accesso all’atrio della chiesa, sistemato probabilmente ai primi del Duecento, in cui sono conservati molti frammenti antichi e medievali provenienti dalla chiesa e dagli scavi. Sulla sinistra un oblò consente di vedere. nel chiostro duecentesco. l’albero di arancio che secondo la tradizione fu qui piantato da S. Domenico stesso. La porta centrale è un monumento di preziosità estrema poiché conserva ancora (oltre agli stipiti marmorei coevi), i battenti lignei del V secolo, probabilmente di cipresso o cedro, con una splendida cornice traforata a motivi vegetali e animali che inquadra ventotto specchiature, delle quali se ne sono conservate diciotto, con storie dell’Antico e del Nuovo Testamento in parallelo. Notare particolarmente L’Ascesa di Elia al cielo sul carro di fuoco, sulla destra. Per l’antichità, il materiale ligneo e lo stato di conservazione, questi battenti costituiscono un vero e proprio unicum. L’interno della basilica si presenta di grande solennità, a tre navate suddivise da ventiquattro colonne corinzie sorreggenti archi, eseguite appositamente, e per certi versi rammenta le basiliche ravennati. Nell’intradosso delle arcate, e negli spazi tra queste, è conservato un raffinatissimo fregio di marini policromi lavorati a opus sectile, i cui valori si presentano come oltremodo pittorici, raffigurante insegne militari sormontate da croci. Nella controfacciata è conservato l’unico altro resto della ricchissima decorazione (in mosaici, marmi, pitture e stucchi) che un tempo ricopriva l’intero edificio, costituito da una solenne iscrizione metrica in ricordo di Pietro d’Illiriia, del papa Celestino I, e del concilio di Efeso che in quegli anni (431) aveva sancito la maternità divina di Maria. Le due figure ai lati rappresentano L’’Ecclesia ex gentibus, nata dalla conversione dei pagani, e L’Ecclesia ex circumcisione, nata dalla conversione dei giudei. Nella navata centrale, rara pietra tombale a mosaico di Munoz de Zamora, generale dei Domenicani (1300); più avanti, la schola cantorum, ricostruita nel 1936 utilizzando frammenti dal V al IX secolo, di cui alcuni veramente splendidi: anche la cattedra episcopale è di recupero, mentre nell’abside è un affresco di Taddeo Zuccari, raffigurante il Cristo tra gliapostoli, malamente sconciato dai restauri otto-novecenteschi, che riprende la composizione del precedente mosaico. Nella navata destra compaiono, a livello inferiore, resti, tra cui una colonna, del preesistente edificio romano. Vi si apre la cappella di S. Giacinto, affrescata da Federico Zuccari, con all’altare una pala di Lavinia Fontana raffigurante la Vergine e S. Giacinto (1600). Nella navata sinistra si apre la cappella d’Elci, dedicata a S. Caterina da Siena, costruita nel 1671 da G.B. Contini, che si mostra sfolgorante di marmi preziosi, con all’altare la Madonna del Rosario, capolavoro del Sassoferrato (1643). Alla fine della navata sinistra lo spazio è ostruito dalla base del campanile, costruito all’inizio del XIII secolo e mozzato nel Seicento. Uscendo dalla chiesa, sulla piazza Pietro d’Illiria. accanto all’ingresso al parco Savello, è una fontana composta da una vasca termale di granito antico e da un mascherone, già parte di quella costruita da Giacomo Della Porta per il Campo Vaccino, da cui proviene anche la vasca della fontana di piazza del Quirinale.
Il piccolo parco Savello, realizzato negli anni Trenta, è ricavato all’interno delle fortificazioni imperiali, poi dei Savelli, che caratterizzano questa parte dell’ Aventino e che costituiscono un raro esempio di incastellamento altomedievale in Roma. non considerato quanto meriterebbe, e ben visibili scendendo al lungotevere Aventino per il vicino clivo Savello, una delle passeggiate meno conosciute e più suggestive di Roma, dalla quale si possono avere delle belle vedute sul centro cittadino