S. Bartolomeo all'Isola
La chiesa
Campanile
Targa con il livello raggiunto dal Tevere nell'alluvione del 1937
La chiesa
E' una chiesa notissima a tutti se non altro per la sua posizione sull'isola Tiberina che la rende parte integrante delle vedute romane più celebri: questo non vuol dire che sia altrettanto nota per le sue vicende storiche ed artistiche. Sorge sul sito dell'antico tempio di Esculapio, dio delle arti mediche e della guarigione a cui l'intera isola era consacrata nell'antichità ( e la tradizione medico ospedaliera prosegue ancor oggi con la presenza dell'ospedale Fatebenefratelli). Fu voluta dall'imperatore Ottone III di Sassonia dopo il 998 in onore del santo martire Adalberto, e vi furono traslate anche le reliquie dell'apostolo Bartolomeo, prima a Benevento. L'imperatore, che allora aveva la sua residenza sull'Aventino, divenuta poi la Rocca Savella, poteva vedere da li la chiesa. Presto la dedica all'apostolo prese il sopravvento. Cospicui interventi di restauro furono eseguiti nel XII secolo e alla fine del XIII, quando fu realizzato l'attuale pavimento cosmatesco. Catastrofica fu la terribile inondazione del Tevere del 1557, che causò il crollo della facciata e della navata destra. Nel 1642 la chiesa fu fortemente rinnovata, mentre ulteriori restauri vi furono nell'ottocento sotto Pio IX. La chiesa è ora monastero francescano. La facciata barocca è a due piani, quello terreno aperto da arcate, attribuita ad Orazio Torriani o a Martino Longhi il Giovane. Sulla sinistra la bella torre campanaria romanica, dell'epoca di Pasquale II (1099-1118). L'interno basicale, a tre colonne su navate, si presenta nell'aspetto dovuto ai restauri secenteschi, ma conserva il transetto e l'abside fortemente rialzati della basilica primitiva. Le quattordici colonne, di diversa fattura, provengono forse dal tempio di Esculapio; i dipinti nei riquadri sul soffitto risalgono ai restauri di Pio IX. Da notare, sui gradini che salgono sul transetto, un puteale marmoreo dell' XI secolo sul luogo di una sorgente di acqua dolce cui venivano attribuite fin dall'antichità virtù curative e taumaturgiche, ora non più potabile. Nella cappella Orsini, a destra dell'abside, è inserita nella parete sinistra una palla di cannone qui caduta durante l'assedio della Repubblica Romana nel 1849, senza causare vittime. L'altare maggiore poggia su di un'antica vasca di porfido, nella quale sono deposte le reliquie di S. Bartolomeo; il transetto conserva tracce del primitivo pavimento cosmatesco. Dalla sacrestia si può accedere alla cripta, sorretta da piccole colonne tortili che recano sul capitello l'aquila imperiale di Ottone III. Nell'ambiente soprastante il portico è conservato un frammento del mosaico di facciata del XII secolo con il Salvatore benedicente, sopravvissuto all'inondazione del 1557. Adiacente alla chiesa, sulla sinistra, un edificio di fondazione medievale, ricostruito più volte successivamente, ex monastero francescano, poi ospizio israelitico, da cui si accede alla (normalmente chiusa) sede della confraternita dei Sacconi Rossi, che aveva un tempo il compito di dare cristiana sepoltura agli annegati nel Tevere e pregare per le loro anime, e di cui si conserva il cimitero sotterraneo, un ambiente decorato con gli scheletri delle persone qui sepolte, analogamente a quanto si può vedere nel cimitero dei padri cappuccini in Via Veneto sotto la chiesa di S. Maria della Concezione; il cimitero è regolarmente aperto solo il 2 novembre, Commemorazione dei Defunti. Nella antistante piazza di S. Bartolomeo sorge un piccolo monumento a guglia in marmo, del 1869, pressappoco sul luogo dove nell'antichità si innalzava un obelisco a simulare l'albero maestro di una nave, quale era vista l'isola tiberina e quale era in parte anche effettivamente modellata. Scendendo al livello della banchina fluviale, sul fianco sinistro dell'edificio annesso alla chiesa, si conservano ancora tracce della prua marmorea della nave, con una figura semicancellata di Esculapio.