S. Clemente I
Roma 88-97 (9)
Fu il 4º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolicadal 92 al 97. La Chiesa cattolica e quelle ortodosse lo venerano come santo. Delle sue opere si conoscono uno scritto autentico, la Lettera alla Chiesa di Corinto, e molti altri di dubbia attribuzione. È considerato il primo papa della storia ad aver rinunciato al suo incarico, ma le fonti storiografiche sono dubbie ed imprecise. Secondo Tertulliano, che scriveva intorno al 199, la Chiesa di Roma sosteneva che Clemente fosse stato ordinato daPietro (De Praescriptione, XXXII), e Girolamo affermava che ai suoi tempi la maggior parte dei latini "era convinta che Clemente fosse l'immediato successore dell'Apostolo" (De viris illustribus, XV). Girolamo sostenne questa tesi anche in molte altre opere. Gli antichi documenti, comunque, mostrano grande incertezza nella sua collocazione temporale. L'elenco più antico dei papi fu stilato da Egesippo durante il pontificato di papa Aniceto, l'11°, solo verso il 160. Questo elenco sembra sia stato usato da Ireneo di Lione (Adversus Haereses, III, III), da Sesto Giulio Africano autore di una cronologia nel 222, dall'ignoto scrittore del III o IV secolo di un poema in latino contro Marcione, da Ippolito di Roma(che estese questa cronologia fino al 234) e, probabilmente, dall'autore del Catalogo Liberiano del 354. Quest'ultimo fu preso a riferimento per la stesura del Liber Pontificalis. Eusebio di Cesarea, per la sua cronaca e per la sua storia, si basò sui dati dell'Africano; nella seconda opera, però, corresse leggermente le date. La Cronaca di Girolamo è una traduzione di Eusebio, ed è l'unico mezzo a disposizione per risalire agli originali greci perduti del grande autore. Ad oggi nessun critico dubita che Cleto, Anacleto e Anèncleto siano la stessa persona. Anacleto è infatti la forma latina di Anèncleto, mentre Cleto è un diminutivo (più cristiano) di Anèncleto. Il Lightfoot riteneva che la trasposizione di Clemente nel Catalogo Liberiano fosse un mero errore, simile all'errore Anicetus, Pius (che in realtà era Pius Anicetus) che si trova più avanti nello stesso elenco. Ma potrebbe essere stata una modifica intenzionale voluta da Ippolito, sulla base della tradizione riportata da Tertulliano. Ireneo affermava che Clemente "vide gli apostoli benedetti e conversò con loro, ed aveva ancora nelle orecchie il suono della predicazione degli apostoli ed aveva la loro gestualità davanti agli occhi, e non era il solo vivente a cui fosse stato insegnato dagli apostoli". Similmente Epifanio narrava (da Egesippo) che Clemente era un contemporaneo di Pietro e di Paolo di Tarso. Entrambi attribuivano 12 anni di pontificato sia a Lino che a Cleto. Se Ippolito nel Poema contro Marcione trovò Cleto due volte per un errore, l'ascesa di Clemente sembrerebbe essere avvenuta 36 anni dopo la morte degli apostoli, dove si colloca Anacleto (il "secondo Cleto"). Ciò significherebbe che sarebbe stato quasi impossibile per Clemente essere loro contemporaneo (si arriva all'anno 103 circa e Clemente avrebbe dovuto essere già molto anziano al momento dell'elezione), per cui Ippolito lo spostò ad una posizione precedente, quella dov'era il "primo Cleto" per conciliare la sua successione con le informazioni secondo cui conobbe gli apostoli. Ancora, affermava Epifanio: «Se ricevette l'ordinazione episcopale da Pietro al tempo degli apostoli, e declinò l'ufficio, dato che in una delle sue epistole affermava 'mi ritiro, parto, lasciate che il popolo di Dio sia in pace' (Memorie di Egesippo), o se fu consacrato da Anacleto dopo la sua successione agli apostoli, non lo sappiemo.» Sembra improbabile che Epifanio faccia questa affermazione solo per citare l'Epistola; probabilmente Epifanio voleva dire che Egesippo riportava che Clemente era stato sì ordinato vescovo da Pietro ma aveva rifiutato di succedergli, ma ventiquattro anni più tardi, scelto a succedergli da Anacleto, esercitò realmente quell'ufficio per nove anni. Epifanio non era in grado di conciliare questi due fatti; Ippolito, tuttavia, sembra avere rifiutato la seconda tesi. L'ipotesi che Clemente fosse stato consacrato vescovo da Pietro e poi da lui scelto per succedergli nell'ufficio ma avesse rifiutato, per essere di nuovo scelto da Anacleto come successore ventiquattro anni dopo, sembra l'unica soluzione per conciliare questi dati. Origene Adamantio identificava papa Clemente con l'aiutante di Paolo di Tarso (Lettera ai Filippesi, IV, 3, e 80), così facevano Eusebio, Epifanio, e Girolamo, ma questo Clemente, probabilmente, era un filippese. A metà del XIX secolo si identificava il Papa col console del 95, Tito Flavio Clemente che fu martirizzato da suo cugino, l'imperatore Domiziano, alla fine del consolato. Ma i testi antichi, tuttavia, affermano che il papa visse fino al regno di Traiano. È improbabile anche che fosse un membro della famiglia imperiale. Il continuo riferirsi all' Antico Testamento nella sua Epistola ha suggerito al Lightfoot, al Funk, al Nestle, e ad altri autori, che fosse di origine ebraica. Probabilmente era un liberto o figlio di un liberto della famiglia imperiale, che ne includeva migliaia o decine di migliaia. Si sa con certezza che nella famiglia di Nerone erano presenti molti cristiani (Filippesi, IV, 22). È estremamente probabile che i latori della lettera di Clemente, Claudio Efebo e Valerio Vito, fossero fra questi; per quanto riguarda i nomi (Claudio e Valerio), essi ricorrono con una certa frequenza fra i liberti dell'Imperatore Claudio (e dei suoi due predecessori della stessaGens) e di sua moglie Valeria Messalina. I due messaggeri venivano descritti come «...uomini di fede e prudenti che hanno camminato impeccabilmente fra noi dalla gioventù alla maturità» per questo motivo, probabilmente, erano già Cristiani e vivevano a Roma al tempo degli Apostoli, più o meno 30 anni prima. Il prefetto di Roma durante la persecuzione di Neroneera Tito Flavio Sabino, fratello maggiore dell'imperatore Tito Flavio Vespasiano, e padre del Clemente console martirizzato. Flavia Domitilla, moglie del martire, era una nipote sia di Vespasiano che di Tito e Domiziano. Il console e sua moglie ebbero due figli, Vespasiano e Domiziano, che ebbero come tutore Marco Fabio Quintiliano. Della loro vita non si sa nulla. Il fratello maggiore del martire Clemente era Tito Flavio Sabino, console nell'82 e messo a morte da Domiziano, del quale aveva sposato la nipote. Negli atti dei santi Nereo ed Achilleo, papa Clemente è rappresentato come suo figlio, ma in questo caso sarebbe stato troppo giovane per poter aver conosciuto gli apostoli. Sulla data della morte, diverse fonti sembrano propendere per l'anno 99 o 100, mentre è generalmente accettato che il successore Evaristo abbia preso il suo posto come vescovo di Roma nel 97, all'epoca dell'esilio ordinato da Traiano.[1] In tal caso si tratterebbe della prima rinuncia all'ufficio di romano pontefice di un papa, sebbene dovuta a cause di forza maggiore. Della vita e morte di Clemente non si conosce nulla. Gli Atti, apocrifi in lingua greca, del suo martirio furono stampati nelPatres Apostolici del 1724, basato sugli studi di Jean Baptiste Cotelier. Questi, ricchi di narrazioni ampiamente leggendarie, riferiscono di come convertì Teodora, moglie di Sisinnio, un cortigiano di Nerva e (dopo alcuni presunti "miracoli") Sisinnio stesso e altre 423 persone di un certo rango. Traiano bandì il papa in Crimea dove, secondo la leggenda miracolistica, avrebbe dissetato 2000 persone. Molte persone di quel paese si convertirono ed edificarono 75 chiese. Traiano, per tutta risposta, ordinò che Clemente fosse gettato in mare con un'ancora di ferro al collo. Dopo questi avvenimenti, ogni anno, il mare recedeva di due miglia, fino a rivelare un sacrario costruito "miracolosamente" che conteneva le ossa del martire e permetteva ai fedeli di recarvisi. Questa leggenda non è antecedente al IV secolo ed era sicuramente conosciuta da Gregorio di Tours nel VI. Intorno all'868 san Cirillo, che si trovava in Crimea per evangelizzare i popoli slavi, rinvenne in un tumulo (non in una tomba subacquea) delle ossa ed un'ancora. Immediatamente si credette che queste fossero le reliquie di Clemente. Trasportate a Roma da Cirillo, furono deposte da papa Adriano II, insieme a quelle di Ignazio di Antiochia, sotto l'altare maggiore della basilica inferiore di San Clemente. La storia di questa traslazione è piuttosto verosimile, ma non sembrano esserci tradizioni riguardo al tumulo, che fu trovato semplicemente perché poteva essere un probabile luogo di sepoltura. L'ancora sembra essere l'unica prova della sua identità, ma non si è in grado di stabilire se veramente era insieme a quelle ossa. Clemente venne menzionato per la prima volta come martire da Tirannio Rufino (circa 400). Papa Zosimo, in una lettera del 417 ai vescovi africani, riferiva del processo e della parziale assoluzione dell'eretico Celestio svoltisi nella basilica di San Clemente; il papa scelse questa chiesa perché Clemente aveva appreso la fede da Pietro in persona, ed aveva dato la vita per lui. Venne annoverato tra i martiri anche dallo scrittore noto come Praedestinatus (circa 430) e dal Sinodo di Vaison del 442. Critici moderni ritengono possibile che il suo martirio fosse stato suggerito da una confusione con il suo omonimo, il console martirizzato. Comunque, non essendoci tradizioni di una sua sepoltura a Roma, si suppone che sia morto in esilio per cause naturali.