La Roma delle fabbriche
La parola 'fabbrica' e il nome di Roma sembrerebbero aver poco a che fare l'una con l'altro. Oggi, poi, si parla di Tiburtina Valley, di silicio, di un tipo d'industria che va a braccetto col terziario avanzato: poca o niente catena di montaggio, industria per colletti bianchi dell'informatica. Ma dov'è il paesaggio livido di capannoni e ciminiere, dov'è la Roma della prima rivoluzione industriale? La versione romana della 'città di opifici', oggi confusa nel traffico e tra i condomini anonimi di metà ventesimo secolo, è all'Ostiense, tra Lungotevere Testaccio e Basilica di San Paolo. Un'area che si è formata dopo l'unità d'Italia e sviluppata nel primo Novecento. Quella zona fu scelta per due ragioni: era adatta allo scopo perché là erano in progetto la costruzione della stazione di Trastevere e del porto fluviale, che a loro volta rendevano necessario l'allargamento della via Ostiense; e poi, la zona rispondeva alla volontà di evitare concentrazioni operaie vicino alle sedi di governo. La prima struttura che s'incontra lungo la via Ostiense, in direzione centro, è la centrale termoelettrica "Giovanni Montemartini", eretta negli anni 1911-13, poi caduta in disuso, quindi restaurata e dal 1990 utilizzata come sede espositiva (ospita oggi importanti reperti dei Musei Capitolini). Vale la pena sostare, oltre che per la bellezza delle opere esposte, perché il restauro ha conservato intatti gli ambienti e i macchinari del vecchio stabilimento. Continuando il percorso sulla via Ostiense, compaiono sulla destra i Mercati Generali, edificati tra il 1913 e il 1922, in attività fino a tempi recentissimi, attualmente chiusi e destinati a divenire un grande centro culturale. Deviando verso sinistra su piazza del Gazometro e via del Commercio si arriva nel cuore dell'archeologia industriale romana, dove meglio si comprende la concezione unitaria dell'epoca: insediamenti produttivi legati a infrastrutture comuni di immagazzinamento e distribuzione. Siamo sull'area dei Magazzini Generali, dislocati sulle due sponde del Tevere ormai vicino alla foce, e dei gazometri. In alternativa, si può girare poco più avanti su via del Porto Fluviale e arrivare al Ponte dell'Industria, edificato nel 1863 con tecniche per quei tempi all'avanguardia. Il porto fluviale è stato utilizzato fino al 1930 per lo scarico del carbone della vicina Officina del Gas. Si vedono inoltre, sulla riva destra del fiume, l'ex Molino Biondi e, sulla sinistra, l'ex stabilimento Mira Lanza, che produceva colle, concimi, saponi e candele utilizzando gli scarti della macellazione del vicino Mattatoio: altro esempio dei collegamenti che univano le diverse fabbriche in una sorta di ciclo produttivo integrato. Tornando indietro sulla via Ostiense, si giunge al piazzale Ostiense da dove, imboccando via Caio Cestio, si costeggia il cimitero acattolico, il cui primo nucleo risale al 1738: vi riposano, tra gli altri, Keats e Shelley. Di lì, a sinistra della via Marmorata, comincia il quartiere popolare di Testaccio: da via Caio Cestio giriamo a destra per via Zabaglia fino a via Galvani. Nei pressi è la collina di Monte Testaccio o "Monte dei Cocci", formata dall'accumulo di anfore e scarti annonari che in epoca romana venivano depositati sul posto. In fondo a via Galvani appare l'ex Mattatoio: gli archi dell'ingresso, sorreggenti una scultura che raffigura un genio che atterra un bue, si aprono all'interno sul 'foro boario' esteso su oltre 10 ettari, oggi sede di una sezione del Macro (Museo d'Arte Contemporanea di Roma). L'ex mattatoio è un capolavoro di architettura industriale dell'epoca, di quel 'liberty da stabilimento' che univa rigore e fantasia, pragmatica razionalità e senso dell'ornato, quando la decorazione era irrinunciabile anche intorno ad una caldaia o su una colonnina di sostegno. La stessa concezione, in sostanza, dei Mercati Generali e della stazione di Trastevere. Al termine della lunga passeggiata è d'obbligo sostare in una delle numerose trattorie della zona. Qui vengono offerti, oggi come in passato, i piatti della gastronomia romana preparati con gli scarti del bestiame, macellato un tempo nel vicino Mattatoio: è il regno della coda alla vaccinara, pietanza che s'immagina forte e invece eccelle per delicatezza. Ed è l'ultimo indizio di quel sistema di relazioni produttive che s'era creato tra le attività protoindustriali dell'Ostiense. Un universo dimenticato, in cui - esattamente come nell'economia contadina che usava la cenere del camino per lavare i panni - non si sprecava nulla.