Il fantasma del Campidoglio
La Città Eterna non è la Scozia, ma gli spettri - come testimoniano anche vecchi film e sceneggiati televisivi - si addicono perfettamente al dedalo di vicoli e piazze della città storica, immenso serbatoio di memorie. Memorie che sono, a loro modo, esse stesse evanescenti spettri, aleggianti tra gli angoli della materia dura fatta di pietre, intonaci, antiche finestre. Torniamo dunque sul tema, e in grande stile, visto che parliamo del fantasma capitolino. Quella che segue è la narrazione di un fatto che destò grande curiosità, riportato in molte cronache dell'epoca. Siamo nel luglio dell'anno del Signore 1731, nelle prigioni dei sotterranei di Palazzo Senatorio, sul Campidoglio. Un garzone di barbiere, arrestato per una rissa, viene portato in cella. Là incontra un vecchio ben vestito, con una grande barba bianca, e gli chiede perché si trovi incarcerato, visti anche l'abbigliamento e l'età. Quello gli racconta la sua storia: è un senatore romano dei tempi di Giulio Cesare. Il garzone è gentile, e il vecchio gli dona una moneta d'oro. Il giovane, stupito e invogliato da tanta generosità, subito glie ne chiede delle altre. Il vecchio non dice di no, ma sembra prendere tempo: avrebbe prima portato via le misere scodelle del pranzo, per non sentire i rimbrotti del carceriere, poi sarebbe tornato. Venuta l'ora del giro d'ispezione, il carceriere vide le stoviglie davanti alla porta della cella e pensò che il garzone fosse fuggito. Entrato, ve lo ritrovò e si sentì raccontare dell'incontro col vecchio. La sera stessa, mentre il giovane prigioniero cenava, ecco aprirsi la porta: era di nuovo il fantasma. Il vecchio redarguì aspramente il garzone perché aveva riferito la storia al secondino; e gli disse che aveva così perduto l'occasione della sua vita per arricchirsi. Quindi il fantasma pose in terra tre scatole piene di monete e, senza proferire parola, se le riprese subito, mise sul braccio la camicia e il giustacuore, e uscì. La porta rimase aperta e il garzone gli corse dietro, ma cadde e gridò. Accorse il guardiano e, udito il fatto, diede l'allarme. La camicia fu ritrovata fra la prima e la seconda porta della segreta, mentre il giustacuore era in un cantone, coperto di polvere e sporcizia. Sul pavimento della cella, al posto delle scatole di monete, c'erano tre mattoni. In seguito il fantasma riapparve altre volte, parlò con altri carcerati, nuovamente ne suscitò l'ingordigia e sempre se ne andò lasciando per terra inutili mattoni.