Ponte Rotto
La necessità di costruire un nuovo ponte, in muratura ben solida, da affiancare al Sublicio, inadatto al passaggio dei carri e del materiale pesante proveniente dalle cave di tufo di Monteverde, si fece sentire in tutta la sua entità nel 193 a.C. in seguito alla violenta inondazione del Tevere. Ce ne dà notizia Tito Livio quando scrive che la calamità fu più devastante di quella dell'anno precedente. Infatti recò danni gravissimi molti edifici nei dintorni della porta Flumentana e rovesciò due ponti. Quali fossero questi ponti è presto detto: il Sublicio e quello che poi si chiamerà Emilio, ambedue costruiti in legno. Ci vollero perciò le inondazioni, sempre più dannose, e le lusinghiere condizioni politiche ed economiche a far si che le autorità preposte nel 179 a.C. si decidessero ad affidare l'incarico dell'erezione del ponte ai censori Marco Emidio Lepido e Marco Fulvio Nobiliore, gli stessi che fondarono la basilica Emilia nel Foro e i Portici presso i Navalia. Furono così realizzati il porto e i piloni del ponte sul Tevere, ma soltanto quelli, perchè all'edificazione degli archi provvidero più tardi, nell'anno 142 a.C., i consoli Publio Scipione Africano e Lucio Mummio. Per arrivare a tale punto erano occorsi 37 anni di lavoro. Tra le varie testimonianze antiche riguardanti il ponte Emilio, si può citare quella di un restauro ed il completo rifacimento portato a termine nel 12 a.C. da Augusto, investito della carica di pontefice massimo. Cesare d'Onofrio aggiunge che "nel 221 d.C. il corpo di Eliogabalo, visto che la Cloaca Massima pare fosse ostruita, fu gettato da qui nel Tevere dalla folla inferocita".
Inoltre presso il ponte Emilio il 17 agosto venivano celebrate le feste del dio fluviale Portuno. In un'anonima cosmografia risalente al V secolo, si legge una descrizione del Tevere che Cesare d'Onofrio così traduce: "il re dei fiumi, il bel Tevere.... lungo l'Urbe sacra si divide in due e forma un'isola nella Regione XIV, chiamata "i due ponti". Quindi si riunisce di nuovo, passa sotto il pinte di Lepido, che ora la plebe arbitrariamente chiama ponte di lapidi, presso il foro Boario...".
Essendo questa la sola volta in cui il ponte viene chiamato Lepido, c'è da ritenere che l'anonimo conoscesse l'epigrafe incisa sugli archi, mentre l'altra denominazione, "ponte di lapidi", fa pensare ad una storpiatura popolare per contrapporre il ponte stesso al Sublicio interamente costruito in legno. Poi intorno alla metà del secolo VIII il "pons Aemilius" venne detto anche "maggiore" fino al 1144, quando nei Mirabili assunse il nuovo titolo di ponte dei Senatori e questa, secondo d'Onofrio, è una testimonianza circa il restauro eseguito prima del 1144 a spese del Comune e dietro iniziativa dei Senatori.
Il "pons Aemilius", per la sua posizione obliqua rispetto all'asse della corrente del fiume, e per la pressione provocata dal fiume stesso a causa della sua curva, ha subito violenza delle acque almeno quattro volte, di cui la prima fu nel 280 d.C. al tempo di Probo, che intervenne per le inevitabili riparazioni.
Nel Medioevo, al tempo di Giovanni VIII, il pinte Emilio assunse il nome di ponte di Santa Maria, perchè sorgeva proprio di fronte alla chiesa di Santa Maria Egiziaca, ottenuta dalla trasformazione del tempio romano ritenuto della Fortuna Virile. Il primo febbraio del 1230 una violenta inondazione del Tevere provocò la caduta del ponte, che, secondo la testimonianza di Bernardo Guidoni, biografo di Gregorio IX, fu da questo papa totalmente ricostruito: "Pontem autem S. Mariae gravibus refecit impensis alluvione Tiberis demolitum (Poi ricostruì con pesanti spese il ponte di S. Maria demolito dall'alluvione del Tevere).
Un'altra disastrosa alluvione si abbattè su Roma nel 1422 e il ponte Senatorio anche questa volta rimase fortemente danneggiato, tanto che nel 1426 papa Martino V dovette provvedere con ingenti somme alle spese dei restauri che, in occasione dell'anno santo del 1450, furono ripresi da Niccolò V. Ma si pensa che i lavori non furono eseguiti con accurata diligenza, perchè al tempo di Paolo III fu necessario provvedere con urgenza soprattutto per le preoccupanti condizioni in cui si trovava in pilone del ponte con i suoi tre archi. Michelangelo stesso fu chiamato a dirigere i lavori,ma un po' perchè aveva troppi impegni e un po' perchè l'impresa presentava serie difficoltà, i lavori, alla morte del papa, erano ancora in alto mare. Il nuovo pontefice Giulio III resosi conto della situazione e pur stimando l'anziano Michelangelo, gli tolse l'incarico del restauro per affidarlo all'architetto Nanni di Baccio Bigio (Giovanni Lippi) che malamente potè concludere i lavori nel 1552. Infatti cinque anni dopo il ponte non resse allo spaventoso rigonfiamento del Tevere che se lo portò via del tutto. Era il 27 settembre 1557. Soltanto nel 1573 il papa regnante Gregorio XIII pensò di riattivare il ponte, perchè l'anno santo era ormai alle porte. Il rifacimento dell'opera fu commissionato all'architetto idraulico Mastro Matteo di Castello. Così la mattina del 27 giugno 1573 lo stesso pontefice pose la prima pietra e i lavori iniziarono di buona lena concludendosi nell'anno 1575. Ciò è confermato dalla lapide recante un'incisione così redatta: "Ex auctoritate Gregorii XIII Pont. Max. / S.P.Q.R. / Ponte Senatorium Cuius fornices vetustate / collapsos et iampridem refectos fluminis / impetus denuo deiecerat in pristinam / firmitatem ac pulchritudinem restituit / anno Iubilei MDLXXV" (Per volere di Gregorio XIII P.M. il Comune di Roma nell'anno giubilare del 1575 restituì alla primitiva fortezza e bellezza il ponte Senatorio i cui fornici caduti per l'antichità e già in precedenza restaurati l'impeto del fiume aveva nuovamente abbattuto).
Perchè "Senatorio"? Il d'Onofrio dice: che viene così chiamato quasi a riconoscere un medievale diretto rapporto giurisdizionale tra questo importantissimo ponte e l'Autorità laica capitolina. Da parte di Gregorio XIII, insomma, una squisita gentilezza. Ma la nuova edificazione rimase in piedi soltanto 23 anni, perchè il 25 dicembre 1598 una grande apocalittica alluvione del Tevere, la massima che si ricordi, si rovesciò su Roma con le proporzioni di un diluvio universale e il povero ponte Senatorio rimase mutilato della sua metà, acquistando la nuova definitiva pietosa denominazione di ponte Rotto. Da quel momento fu scartata ogni possibile proposta di ricostruzione. Solo nel 1853 lo si volle rendere transitabile applicandovi una pensilina di metallo per unire la metà del ponte non crollata, con la sponda sinistra. Ma tale sistemazione durò fino al 1887, quando l'ingegnere Canevari decretò l'abbattimento della passerella di ferro. Così dell'antico e sfortunato ponte romano non rimane che un'arcata, sopravvissuta, come un isolotto di travertino decorato di erbacce e ciuffi di capperi selvatici, alle demolizioni di due delle tre arcate rimaste in piedi, mentre a brevissima distanza venivano avviati i lavori per la costruzione del ponte Palatino.